Dan Porat

“Esco nella strada che brucia! Intorno a me, tutto è in fiamme. Il ghetto è un mare di fuoco. È spaventoso. Nessuno sa dove scappare. Il muro del ghetto è completamente circondato, nessuno può entrare o andar via. I vestiti ci bruciano addosso. Il fumo ci soffoca. Molti, quasi tutti, invocano Dio. Muto come una sfinge, Dio non risponde. E voi, popoli della Terra, perché tacete, non vedete che ci stanno uccidendo? Perché non dite niente?” Così termina il diario ritrovato di una giovane testimone di uno degli episodi più atroci della Seconda guerra mondiale: l’annientamento del ghetto di Varsavia.
È l’aprile del 1943 quando Himmler incarica il generale delle SS Jürgen Stroop di radere al suolo il quartiere e di sterminare i ribelli che pochi mesi prima avevano osato insorgere contro la furia nazista. La stessa sorte toccherà a tutti gli abitanti superstiti. Tra loro c’è un bambino che, immortalato con le mani alzate e il volto impaurito, diventerà l’immagine simbolo dell’Olocausto.
Ma chi è? Che ne è stato di lui? È riuscito a salvarsi? Per rispondere a queste domande, Dan Porat ricostruisce le vicende di quel giorno e della distruzione del ghetto di Varsavia. Lo fa ripercorrendo più di sessant’anni di storia in un libro che intreccia le vite di quel bambino, di una giovane ebrea attiva nella resistenza e di tre soldati SS; un libro in cui assieme alla narrazione viva e partecipata di quel dramma scorrono le fotografie selezionate da Stroop per documentare la “Grosse Aktion” nazista, e altre inedite scovate dall’autore in anni di ricerche: volti e gesti di uomini e donne comuni che il caso destinò a essere vittime o carnefici. (fonte: amazon)… (mer)

The photo on the cover of this book is probably the most recognizable Holocaust photo in the world, and arguably one of the most recognizable photos in history. The child's terrified little face has captivated many people, not the least author Dan Porat, who became obsessed with uncovering the identities of the people in the picture and the stories of their lives.

I had heard that the boy lived: that he survived the war, became a doctor in Boston, and had that picture framed and on display in his office. The day before I started The Boy, I showed the book and its photo to a man I knew and told him what I'd heard. Then I read the book and had to come back to my acquaintance to say, "Um, yeah, I was wrong. There's a doctor in Massachusetts who thought he was the boy, but he almost certainly was not. The photo was taken in the Warsaw Ghetto, see, and he was never in the Warsaw Ghetto. Also, he remembers the picture being taken in July, and the picture shows people wearing heavy coats. This boy in the picture was probably killed." Porat was never able to determine who he was, only who he was not.

"I liked the first story better," my acquaintance replied sadly.

So did I.

But this book has much more to offer than mere soul-crushing mythbusting. The author covers the life of Zvi Nussbaum -- the young Holocaust survivor who thought he was The Boy -- as well as the lives of the two Nazis standing in the background of the photo AND the Nazi holding the camera. (All three were captured and executed after the war, one of them more than two decades later.) I admire the author's research and his ability to put us right there in these people's lives, in the blood and tragedy and chaos.

If only The Boy had lived.… (mer)