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1914: attacco a occidente

av Gian Enrico Rusconi

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Per l'intensità emotiva e culturale con cui è vissuta in Germania e per la determinazione con cui è condotta, quella del 1914 si presenta innanzitutto come "la guerra tedesca". Non tanto nel senso di una gierra voluta e decisa dal governo di Berlino a fromte della responsabilità degli altri governi coinvolti, quanto per i modi e i tempi con cui determina la logica stessa della guerra.
Il punto cruciale è quale punizione o azione militare può essere attuata efficacemente contro la Serbia e accettata dalla comunità internazionale. Il quesito chiave dunque diventa "quale guerra" può essere fatta. Sul possibile nesso tra guerra locale, continentale, modiale si gioca l'intera partita diplomatica.
Nei primi giorni di agosto sulle piazze d'Europa si respira un clima euforico. Almeno questa è l'impressione. All'annuncio delle dichiarazioni di guerra a Berlino, Parigi, Vienna infatti si raccolgono folle entusiaste. Nelle stazioni ferroviarie si vedono treni pieni di soldati che allegri vanno alla guerra nella certezza di essere a casa - vincitori - entro Natale. Così almeno recitano le cronache giornalistiche, così ci mostrano le fotografie e i filmati giunti sino a noi. In realtà studi più attenti ci dicono che le cose non sono andate esattamente in questo modo. Accanto alla adesione entusiastica, c'è anche un'oscura paura, rimossa grazie alla prima straordinaria operazione mediatica di massa del Novecento, pilotata dalle agenzie statali e dai grandi giornali nazional-borghesi, in grado di sedurre, zittire, oscurare le voci dissenzienti o perplesse. Sulla unanimità della festa popolare dell'agosto 1914, sulla euforia della partecipazione di tutti gli strati sociali, oggi si hanno forti dubbi. Anche per quanto riguarda la Germania. Si registra piuttosto un condiviso "spirito di servizio" per la patria in pericolo: questo è il vero successo ottenuto dalle classi dirigenti europee. Questo "patriottismo difensivo" neutralizza di fatto ogni opposizione organizzata alla guerra soprattutto da parte dei prtiti socialisti. Trainanti in prima fila ci sono le classi borghesi, le élite culturali, i giovani studenti affiancati dal coro di approvazione dei loro professori.
[...] si verifica un fenomeno, non nuovo nella storia ma che ora acquista dimensioni immense: la sacralizzazione della morte sul campo, la sua trasfigurazione che lascerà in eredità grandi e piccoli cimiteri militari e spazi pubblici della memoria che ancora oggi segnano in modo inconfondibile il continente europeo. Si chiamano "sacrari" dei caduti. La sacralità della morte in battaglia sarà una componente e un lascito essenziale della Grande Guerra.
[...] come giustifichiamo il fatto che questo evento che oggi ci appare così irrazionale sia stato pensato, immaginato e affrontato con un investimento di razionalità argomentativa (nelle polemiche reciproche della "guerra di civiltà") senza precedenti? Mai nessuna guerra è stata elaborata tanto scientificamente con un enorme impegno di programmazione operativa, logistica, tecnologica. Dietro alle culture che si dichiaravano spiritualmente incompatibili (Germania contro Occidente) c'è la medesima razionalità tecnica, la stessa metodica razionale che crea identiche armi micidiali, perfezionate nella competizione; che elabora piani di guerra pensati con lo stesso sforzo di razionalità e di metodicità.
In particolare in Germania, sotto i pennacchi e gli elmi a punta, il sussiego e la pompa della liturgia militare, c'è un apparato tecnico-industriale moderno, sostenuto da una grande professionalità. La macchina bellica tedesca riflette la qualità tecnologica di uno sviluppo industriale tra i più avanzati, almeno sul continente europeo. La tecnica, la macchina, l'ordine del lavoro moderno sono in singolare simbiosi con la mitologia nibelungica. È la modernità travestita da wagnerismo e da un classicismo filologicamente puntiglioso. È la modernità del guglielminismo che nonostante i suoi travestimenti anacronisticu si pone all'avanguardia nella competizione con l'Occidente. Anzi, a ben vedere, è una competizione e uno scontro intraoccidentale. Uno scontro di ragioni e di razionalità, che è la cifra della "civiltà" nel senso occidentale.
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Ursprungsspråk
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