Certo che scrivere una biografia del grande Faber non è difficile, da un lato. L’attenzione è tutta posta sul mito di un uomo che ha fatto della direzione ostinata e contraria un modo di essere. Ma certo che scrivere una biografia del grande Faber non è semplice. Si rischia sempre di infrangere un mito. Ma il lavoro di Viva è ben fatto, il tentativo in buona parte riuscito è quello di raccontare l’uomo prima dell’artista, anche se è evidente, la figura del De André poeta, sgomita per prendere spazio. Il sottotitolo di questo libro è “non per un Dio e nemmeno per gioco” e va bene per intendere il senso stesso della vita di De Andrè, sempre a metà tra una forte spiritualità ed il tono dissacratorio sui temi di maggiore criticità dell’individuo. Ed il punto credo centrale di Fabrizio è proprio l’uomo inteso come individuo, al di fuori delle organizzazione sociali che ne comprimono le capacità di espressione, la libertà individuale. Il giudice, Bocca di rosa, Marinella ed il pescatore sono tutti personaggi che prevalgono sul contesto nel quale sono collocati; e la guerra di Piero non è un fatto collettivo, ma riguarda due uomini, sono soli, uno di fronte all’altro, due coscienze a confronto; come il Gesù della buona novella. Ma torniamo al lavoro di Viva, una biografia che fa rivivere il percorso di Andrè, una parte dell’anedottica è giù nota, tipo il padre che sul letto di morte gli chiede di non bere più; come la passione per le puttane. Ma, ad esempio, non conoscevo il suo rapporto con la Puny se non per le parole di Vasco nel preludio di Amico fragile in Faber. Insomma un libro che si beve come i superalcolici abbandonati a quarant’anni. Ciao, amico Faber. ( )